La vicenda a Crema, vede gli agenti sotto
processo per sequestro di persona
Il clima si fa rovente attorno agli sbirri,
frustrati e abbandonati
![]() |
foto Emanuele Scarpa |
(ASAPS)
Malavita: un tempo c’era solo questa.
Si parlava di malavita, di
un’esistenza moralmente deprecabile, dedita perlopiù al malaffare e che nel gergo moderno, o forse sarebbe più corretto
dire nel gergo di un recente passato, indicava una specifica categoria di
persone. Nessuno avrebbe mai immaginato, anche solo dieci o quindici anni fa,
che al sostantivo mala se ne
sarebbero poi accoppiati altri: malasanità,
malapolitica, malapolizia. Si, avete letto bene: malapolizia.
Parliamo
di questo, oggi, e partiamo da una notizia che ci ha sbattuti di nuovo in prima
pagina, stavolta a Crema, città dove parte l’ennesima iniziativa contro l’abuso
di potere che inchioda la polizia italiana al rango di una bieca masnada di
sbirri. E la società, se si passano in rassegna siti e blog che a tale pensiero
si rifanno, sarebbe alla mercé di questa sbirraglia, dedita alla sopraffazione
o, quando va bene, a vagabondare.
Il
fatto riguarda un’operazione di polizia giudiziaria, portata a “compimento”, se
così si può dire, da alcuni agenti della Polizia Stradale di Crema: nelle
vicinanze della cittadina, per la precisione a Soresina, giusto un anno fa, una
pattuglia della Specialità rinvenne sostanza stupefacente nella disponibilità
di due stranieri.
Modica quantità, direbbero gli atti, ma
anche in casi di questo genere le indagini sono un obbligo della PG e quando
uno dei due fermati spiegò ai poliziotti che la roba era stata loro venduta da un giovane nel parco pubblico,
gli agenti andarono a cercarlo a casa per invitarlo a recarsi al Distaccamento.
La sua auto era dal meccanico e così salì sull’auto della polizia per essere
accompagnato in ufficio.
Viene
poi denunciato e rilasciato, ma questo sembra essere un dettaglio. Non sono
note lesioni, e anche questo sembra essere solo un particolare in meno.
Escono
articoli di stampa relativi all’operazione, nei quali viene fatto il nome del
giovane e questo qualche giorno dopo si toglie la vita. In una lettera avrebbe
attribuito la ragione del suo gesto a quell’interrogatorio e la madre sporge
querela.
Oggi,
cinque poliziotti sono sotto processo per sequestro di persona e altri reati,
dei quali non sappiamo notizie certe, forse si parla di istigazione al
suicidio, ma è certo che secondo il Pubblico Ministero non ci sarebbero state
ragioni sufficienti per portare (o sarebbe meglio dire convocare) il giovane in ufficio.
Sul
fatto, è chiaro, la procura ha indagato a fondo, arrivando in breve tempo a
chiudere le indagini e a far iniziare il processo.
Teniamo
duro e abbiamo ancora fiducia nelle istituzioni, ma una domanda ce la poniamo:
cosa sta succedendo in questo paese?
Possibile
che convocare una persona in ufficio, sentirla, denunciarla e lasciarla subito
dopo andare, integri il reato di sequestro di persona?
Secondo
il Pubblico Ministero gli agenti avrebbero costretto con la forza il giovane a
salire sull’auto della polizia e lo avrebbero portato al distaccamento contro
la sua volontà, ma è stata la stessa madre ad ammettere che la macchina del
figlio era in carrozzeria.
Cosa
vuol dire, allora, contro la sua volontà?
Ogni
ufficio di polizia invita centinaia di persone all’anno, ricorrendo spesso
all’articolo 650 del codice penale. Ordine di polizia, si dice impropriamente,
ma propriamente, se l’invitato non si presenta e quindi non ottempera
all’ordine legalmente dato dall’autorità (ed è legale se viene motivato in
maniera chiara, seppure succinta o se viene adottato in presenza di ragioni
contingenti, determinate cioè da necessità ovvero opportunità attuali, come ad
esempio l’identificazione di una persona che si considera essere uno
spacciatore), questo viene denunciato all’Autorità Giudiziaria.
Nell’udienza
del 4 settembre, è stata sentita come teste una marescialla dei Carabinieri di Soresina, che ha riferito come il
giorno del suicidio del ragazzo, un vicino di casa le avesse detto che il
giovane era rimasto molto scosso dall’articolo del giornale dove veniva
indicato come spacciatore.
Ma
non si dice, all’articolo 351 del codice di procedura penale che la polizia giudiziaria
non può deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite?
In
ogni caso, secondo il racconto che fanno della vicenda i quotidiani on-line, davanti
ai giudici avrebbe parlato prima la fidanzata, che ha raccontato come il
giovane di tanto in tanto facesse uso di stupefacenti, ma che non fosse uno
spacciatore, specificando come il ragazzo temesse la prigione e come lo stesso
le avesse raccontato dei modi bruschi di alcuni poliziotti e poi la mamma, che
ha raccontato come suo figlio fosse stato male a causa dei modi utilizzati dagli
agenti (confermando però che l’auto del figlio il giorno nel quale gli agenti
erano andati a casa a prenderlo era in carrozzeria).
Sappiamo
bene che la disciplina giuridica disserta moltissimo sul reato di sequestro di persona,
ma è possibile che ufficiali o agenti di PG che stiano seguendo una pista e che
individuino un soggetto che potrebbe essere l’autore dei reati su cui stanno
investigando, non possano invitarlo e sentirlo in ufficio?
È
forse stato picchiato? Perché se il giovane fosse tornato a casa con lesioni,
avremmo fatto come facciamo sempre: saremmo stati zitti.
Il
confine che si sta tracciando, il clima che si sta arroventando attorno
all’operato delle forze di polizia, sono il segno che c’è uno scollamento forte
delle istituzioni.
Possibile
che cinque agenti alla ricerca di uno spacciatore abbiano posto in essere
ostacoli fisici o psicologici tali per un tempo giuridicamente apprezzabile, da
configurare l’ipotesi di un sequestro di persona del giovane?
E
allora, ogni volta che fermiamo qualcuno e lo sottoponiamo a controllo su
strada, non commettiamo lo stesso reato? Quando ordiniamo al testimone di un
incidente di stare a disposizione fino a quando non si riesca a verbalizzarne
la versione, quando si convoca un sospetto in ufficio, quando si costringe una
curva di tifosi a non uscire dal proprio settore o quando si obbligano gli
stessi a salire su un treno? O quando facciamo stare centinaia di auto in coda
per un controllo autostradale, come ad esempio testare il tasso alcolemico o
verificare la presenza di catene a bordo.
Pensavamo
che l’esempio del tossicodipendente rinchiuso in comunità o della monaca di
clausura esaurissero la fattispecie di scriminante del consenso dell’avente
diritto: se una persona non è in stato di arresto, tecnicamente può alzarsi e
andarsene quando vuole no? Prima però ci sarà da farsi un’idea, ci sarà da
capire di chi si tratta, ci sarà da redigere un verbalino di identificazione. È
sequestro di persona?
Dire
a un soggetto, che lo teniamo d’occhio,
fargli capire che sappiamo quali siano i suoi comportamenti, cercare di
ottenere da lui una confessione e di fatto impedirgli di andarsene a casa
costringendolo a un vincolo psicologico, è sequestro di persona?
Quando
viene prelevato a casa un sospetto di omicidio e poi leggiamo sui giornali che
è crollato dopo ore di interrogatorio, il tempo che intercorre tra il suo
ingresso nella stazione di polizia e la sua incriminazione, che tempo è? È sequestro di persona? Non è
pressione psicologica? Non c’è restrizione della libertà personale?
Abbiamo
sempre pensato che anche “ordinare” a una persona di venire ufficio per
indagare non potesse configurare l’ipotesi di un sequestro perché si tratta
certamente di limitazione dell’altrui libertà, ma scriminata in quanto le
regole accettate di quell’incontro, stabilito per un’indagine giudiziaria o
amministrativa, comportano il fatto che il sospetto debba tenersi in quel
momento a disposizione per chiarire la sua posizione e consentire alle autorità
di esercitare la propria funzione di tutela dell’interesse collettivo. Ma
abbiamo anche sempre saputo che se quel soggetto non è in stato di arresto, lo
stesso può andarsene quando vuole, salvo ovviamente peggiorare la sua posizione
e complicare il nostro lavoro.
Forse
c’è qualcosa che i giornali non sanno, perché francamente la vicenda, per come
viene raccontata, ci sembra solo la brutta copia di un racconto kafkiano: a
leggere i giornali, nei confronti del sospetto i cinque si sarebbero comportati
come aguzzini, tanto che l’elemento soggettivo del reato sarebbe stato proprio
quello di mantenerlo nella sfera del proprio privato dominio.
Sappiamo
davvero poco di quello che è effettivamente successo, a parte la ricostruzione
giornalistica, e siamo sicuri che la verità verrà a galla, come sempre accade quando
c’è una divisa di mezzo: il caso Aldrovandi o il caso Sandri ne sono una
conferma.
Ciò
che ci preoccupa, e che ci delude, è che ora la malapolizia è divenuta una moda.
È
colpa della polizia se nevica in autostrada, se una persona non viene curata
dopo l’arresto (perché il problema è l’arresto!), è colpa della polizia se una
persona perde il lavoro dopo aver subito il ritiro della patente, è colpa
sempre di chi indossa una divisa.
A
quando l’istigazione al suicidio dopo una multa?
Se
negli uffici del Distaccamento Polizia Stradale di Crema qualcuno ha abusato
della propria funzione, lo diranno le indagini, ma attribuire alla condotta
degli agenti il suicidio del giovane, anche da un punto di vista mediatico, ci
sembra assurdo.
Capita,
tutti i giorni, che una persona chiaramente colpevole si alzi dalla sedia
davanti a noi e dica la famosa frase: “sono in arresto? No? Va bene,
arrivederci.”
Fa
parte del mestiere. È il lavoro sporco dello sbirro, quello che lo rende
odioso, che permette poi ai pubblici ministeri, che tecnicamente assumono la
direzione delle indagini, di chiedere un’incriminazione, di portare avanti un
dibattimento, di arrivare alla condanna o all’assoluzione di un soggetto.
Se
il sospetto, smettiamo di chiamarlo ragazzo, avesse rivelato agli agenti chi lo
approvvigionasse di sostanza stupefacenti, le indagini sarebbero andate avanti
e nessuno avrebbe parlato di sequestro di persona o così almeno crediamo.
Questa
non è una difesa d’ufficio ma il prodotto di una serie di considerazioni che ci
lasciano una profonda frustrazione. Dalla Uno Bianca in poi, la Polizia non
riesce più a far pari: massacrata nei bilanci, invecchiata negli organici,
devastata dalle accuse che il popolo le rivolge per ogni scroscio d’acqua (piove? Polizia infame!) la Polizia di
Stato, e con essa il mondo variegato delle polizie italiane, quelle dello Stato
e quelle a ordinamento locale, stanno diventando il capro espiatorio di un
degrado sociale che non conosce uguali nella tutto sommato giovane Repubblica
Italiana.
Perfino
certi sindacati di polizia, che per definizione dovrebbero occuparsi di
rappresentare e tutelare i poliziotti nell’ambito della contrattazione
collettiva (gli stipendi del comparto sono bloccati da sette anni), hanno
sentito il bisogno di attribuire alla Specialità la “colpa” di una morte da
impatto stradale, avvenuta in prossimità di un posto di blocco antialcol in
autostrada agli inizi dello scorso mese di agosto, affidando alla stampa la
notizia di un esposto presentato per chiedere di fare luce sulle modalità di
quel servizio.
Nel
blog dell’Asaps qualcuno, criticando l’offensiva di quel sindacato, aveva
profetizzato che nel clima odierno il processo alla Stradale era già stato
fatto e che la morte dell’anziano, sbalzato dall’auto nel tamponamento, sarebbe
stata accostata a quelle di pestaggi e abusi. Facile no?
La
Stradale “fa gli etilometri per fare
cassa”, si leggeva nei commenti ai vari articoli online apparsi in quella circostanza, oppure “vadano a dar dietro ai delinquenti invece di
rompere i coglioni alla brava gente” e ancora “ti rovinano per un bicchiere di vino, bastardi!”
Numeri:
nel 2012 Polizia Stradale e Carabinieri hanno effettuato con 4.570.432
pattuglie ben 1.751.422 controlli sulle ebbrezze, accertando 33.568 guide in
stato di ebbrezza alcolica e altre 2.962 sotto l’effetto di stupefacenti.
Questi
dati, uniti alla mole sconosciuta di numeri prodotti dalle polizie locali, ha
condotto il paese a diventare un luogo più sicuro sulla strada, con una
diminuzione rispetto al 2011 del numero degli incidenti con lesioni a persone
(-10,2%) e del numero dei morti (-5,4%) e anche i feriti risultano in calo
(-10,8%). Dati provvisori, per carità.
Una
pattuglia condotta in un certo modo o parcheggiata in un certo luogo, ad
esempio un’auto in sirena o un’altra parcheggiata sullo stallo dei diversamente
abili, sono per l’italiano espressione a prescindere di prevaricazione, di
abuso, di sciatteria o più genericamente di malapolizia:
poco importa se l’auto correva per salvare vite, perché a quell’eventualità non
ci si crede. Poco importa se il conducente della pattuglia parcheggiata male
sarà poi oggetto di procedimento disciplinare. No: il difensore va sbattuto in
prima pagina e allora via coi videofonini a inseguire volanti o gazzelle, a
riprendere vigili o forestali.
Salvo
poi, quando arriva la multa di un autovelox a casa o quando lo scontrino di un
etilometro stampa un risultato superiore a 0,5 g/l, girare la frittata e
attribuire il proprio comportamento scorretto o penalmente perseguibile, non
alla propria condotta ma all’abuso che la polizia fa della propria funzione.
Prendiamo
la droga: la usano tutti? È forse legale? Eppure, anche nei salotti buoni, è
divenuta consuetudine dire vabbé, per una
cannetta…
È
forse giunto il momento, per lo Stato, di riprendersi la propria onorabilità e
di restituire la dignità a chi quell’onore lo deve nel frattempo difendere:
magari cominciando a far parlare tra loro i propri apparati, magari
predisponendo un bel protocollo d’intervento per ogni singola emergenza
stradale o cittadina, sul modello americano, così, giusto per dare all’ultimo
anello della catena, il centralinista in questo caso, la certezza di una
procedura da seguire o di una priorità da tutelare.
La Malapolizia non esiste.
Esistono
comportamenti giusti o sbagliati, che sono soggettivi, e che lo Stato stesso
punisce. Delegittimare il lavoro di donne e uomini in divisa, sbattere i loro
nomi in prima pagina, accusarli di cose che non possono aver commesso, di reati
impossibili o di crimini degni della lista nera di Amnesty, è profondamente
ingiusto.
Mala tempora currunt. (ASAPS)
La società è profondamente malata ed è venuto meno in gran parte della popolazione il rispetto delle regole e dei principi fondamentali alla base della convivenza civile.
RispondiEliminaLa situazione è veramente grave. Non voglio idealizzare il passato, i criminali ed i farabutti ci sono sempre stati. Ma fino agli anni '80 la mafia, la malavita ed i terroristi facevano il loro (sporco) mestiere, magari anche spargendo più sangue di adesso, ricorrendo alle bombe e alle stragi; le polizie favevano il loro. Sullo sfondo, la società civile, magari, si faceva i fatti suoi, ma, nel complesso, era abbastanza sana, i delinquenti erano un'eccezione. Adesso l'uso di droghe, l'abuso di alcool, l'aggressività e la violenza spropositate, magari per un parcheggio, la ricerca dell'arricchimento mediante la frode e la truffa, le violenze in famiglia, la pedofilia, sembrano diventati comportamenti quasi normali, all'ordine del giorno, che neppure danno più scandalo. Sì, è vero, queste cose avvenivano anche in passato, ma adesso si sta ribaltando il confine tra l'eccezione e la regola. La regola di fondo è diventata quella secondo cui ognuno si sente in diritto di fare o non fare quello che più gli pare o piace. In questo contesto ogni interferenza, anche da parte delle Autorità, viene percepita come un abuso ... ci sono stati troppi anni di tolleranza e ormai c'è assuefazione all'illegalità, quindi i sempre più rari interventi repressivi vengono percepiti come ingiustizie.
Lo sconforto aumenta... sembra che esistano due CP, due CPP, due CDS..
RispondiEliminaè più facile prendersela con l'anello debole della catena, quello che, nonostante il menefreghismo dei suoi superiori (che vogliono far carriera) e la presunta superiorità della magistratura (sempre più una casta con prebende e privilegi vari)tenta di far RAGIONEVOLMENTE rispettare le leggi.
RispondiEliminaTutto vero e sacrosanto,vogliono impedirci di fare il nostro mestiere. Ma noi saremo sempre li pronti a difendere le regole, per tutti quei cittadini che come noi credono nella democrazia
RispondiEliminaPurtoppo "dario" hai pienamente ragione; non solo la repressione dell'illecito, ma a volte anche il semplice controllo è recepito come atto prevaricante. La cosa più fastidiosa è che il Politico, il Dirigente, il Superiore il più delle volte avvallino le lamentele e chiedano numi anche su semplici procedure svolte. Personalmente non sono ottimista come "guido la moto", gli esempi dei cosidetti potenti sono talmente negativi che credo che la guerra sia persa.
RispondiEliminaLa soluzione è semplice....non fare più niente...
RispondiEliminaAlla fine mi convincerai.
RispondiElimina