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lunedì 9 dicembre 2013

Milano, dimezzata in appello la condanna al giovane che investì e uccise l’agente di PM Nicolò Savarino: 9 anni


Attenuanti a go-go per un colpevole che alla fine è quasi innocente: ingiustizia è fatta.


Di Lorenzo Borselli

(ASAPS) Forlì, 10 dicembre 2013 – Due processi, due condanne, due sconti: suona beffardo, come una specie di richiamo alla numerologia esoterica, l’esito del processo d’appello nei confronti di Remi Nikolic, minorenne al 12 gennaio 2012, data in cui alla guida di un SUV travolse e uccise l’agente di Polizia Municipale di Milano Nicolò Savarino, 42 anni, che con la sua bicicletta gli aveva intimato l’alt.
Non un incidente stradale ma un omicidio volontario a tutti gli effetti, sanzionato dalla legge italiana con una condanna che vorremmo definire – per rispetto alla vittima – con un termine diverso da ridicola ma che ridicola è.
Sì, l’ASAPS non è d’accordo con i giudici della sezione minorenni della corte d’Appello di Milano e il perché ve lo diciamo subito.
In primo grado (rito abbreviato) Nikolic era stato condannato a 15 anni, a fronte di una richiesta del PM di 26: omicidio volontario era l’accusa e tale era stata riconosciuta in sede di giudizio, ma il prezzo imposto al reo era già sembrato piuttosto leggero, al netto di 11 anni di sconto grazie a una serie quasi infinita di attenuanti tra cui la minore età e il “contesto di vita famigliare” nel quale il ragazzo “è cresciuto, caratterizzato dalla commissione di illeciti da parte degli adulti di riferimento” e dalla “totale assenza di scolarizzazione”. Ieri (9 dicembre 2013), il sostanziale dimezzamento in secondo grado, con una condanna complessiva a 9 anni, comminata – secondo il racconto fatto dagli organi di stampa (leggi qui) – estendendo al massimo le attenuanti. Nikolic, che oggi ha 19 anni, potrà richiedere la semilibertà tra circa 2 anni e mezzo. Praticamente, un premio.
Ora, potremmo metterci in linea con il populismo di gran moda e gridare allo scandalo, farne una comoda questione razziale (è rom il presunto omicida), gridare allo scandalo e pretendere vendetta.
Invece di gridare “vergogna!” proviamo invece a fare un ragionamento e cercare di capire perché in Italia una persona che uccide un poliziotto investendolo in auto possa beneficiare di così tanta clemenza.
Siamo sicuri che si tratti di un problema socio-culturale e, credeteci, non stiamo facendo sociologia di basso livello: l’Italia ha davvero smarrito un equilibrio sociale e non distingue più con obiettività.
Un ubriaco uccide alla guida? Dov’era la polizia prima? Perché non l’hanno fermato? Forca!
Un ubriaco viene fermato dalla Polizia che gli ritira la patente e lo denuncia? Forcaioli.
Questo atteggiamento, che si estende in mille comportamenti criminali giudicati giustificabili o meno a seconda del contesto in cui si accerta la violazione della norma, è tipicamente italiano: non esiste senso civico, non riusciamo a progredire nel rispetto delle regole sociali.
In Inghilterra il poliziotto gira disarmato perché l’applicazione rigida della legge è la prima garanzia della sua incolumità. In Italia il poliziotto gira armato ma quanti aggressori di divise scontano poi una pena detentiva?
Un altro esempio è costituito dal fatto che le lesioni o le uccisioni, quando sono provocate sul lavoro o sulla strada, non hanno la stessa dignità (nemmeno processuale) di quelle provocate ad esempio con un’arma propria o impropria.
Matteo Gorelli, riconosciuto colpevole di aver ucciso a bastonate l’appuntato dei Carabinieri Antonio Santarelli e di aver ferito gravemente il carabiniere scelto Domenico Marino (clicca qui), in concorso a due minorenni, è stato condannato all’ergastolo. Ricordate la storia? Due carabinieri, il 25 aprile 2011, fermarono l’auto del Gorelli a Pitigliano, nei pressi di Grosseto, e dopo averlo sottoposto a etilometro gli stavano ritirando la patente. Tanto bastò.
Nel caso di Savarino ci saremmo aspettati lo stesso metro di giudizio e invece…
Invece la giustizia ha ragionato diversamente e i tecnicismi che purtroppo la muovono hanno fatto il resto, dimostrando che la legge non è uguale per tutti e non è uguale ovunque.
Ancora: perché in appello quasi tutte le condanne vengono sistematicamente dimezzate?
È probabile che in Italia siamo ormai arrivati al corto circuito della giustizia anche a causa del corto circuito culturale del paese, per il quale non esiste una coerenza di fondo rispetto alla norma.
Il caso di Nicolò Savarino ci indigna perché la sua morte non vale nulla e perché il sistema non è stato obiettivo, non ha saputo “rendere” giustizia perché non ha capito che un individuo che sceglie di essere fuori dalla legge e che ne uccide un altro che la legge la vuole difendere non può contrattare la sua pena in una specie di mercato a chi ha più attenuanti, arrivando all’ossimoro che un colpevole è quasi innocente per colpa di una serie di fattori esterni alla condotta.
Allora, ogni cittadino che abbia nel suo passato un disagio dovrebbe essere giudicato meno colpevole e questo genererebbe una sorta di immunità e si arriverebbe all’assurdo per cui più uno delinque in un contesto degradato meno grave dovrebbe essere la pena inflittagli e questo non può accadere perché in questo modo sarebbe colpa oggettiva dello stesso Stato.
Il quale, e concludiamo, non ha fatto nulla prima e quindi si lava la coscienza dopo.
Cade, così, il principio della responsabilità personale, ma gli altri? Quelli che si comportano bene? Che messaggio ricevono da questo metro di giudizio? E poi: se i rom crescono in contesti così, perché allora non prendere tutti i bambini dai campi nomadi  e garantire loro ( e a noi) un futuro di legalità? Impossibile no?
Capite che un ragionamento così non può funzionare?
La legalità la si raggiunge rispondendo al crimine con strumenti adeguati, preventivi e repressivi, ma uno sconto sistematico non può essere la risposta: è, piuttosto, un’assenza di segnale che condurrà a rendere meno efficace la risposta della collettività al singolo criminale. Già: il segnale.
Pensate che bel segnale avrà avuto la famiglia di Nicolò. O i suoi colleghi. (ASAPS)

14 commenti:

  1. Sicuramente è molto più grave che i colleghi si siano tolto i caschi davanti ad una pacifica manifestazione.. ma vaiavaia.. è una giustizia vergognosa.. che schifo..!
    Jardel

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    1. Scusa Jardel, ma non ho capito: dici che è più grave (molto più grave) che i colleghi si siano tolti il casco davanti a una pacifica manifestazione? Perché è grave togliersi il casco e abbassare i toni? E poi: che c'entra con la condanna di Nikolic?

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    2. Intendevo dire che c'è più polemica per il bel gesto di poliziotti e carabinieri rispetto alla sentenza. Pazzesco.

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  2. Sono stato frainteso.. era amara ironia la mia..
    Jardel

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  3. Dispiace dirlo perchè sembra di essere i soliti lamentoni, ma è la realtà e lo si può vedere anche in altri tribunali, in altre sentenze: i vigili urbani valgono meno degli altri (per la legge).
    Inutile nasconderlo, nella gestione di certi reati i magistrati ed i giudici, sicuramente inconsapevolmente ed in buona fede, usano metri diversi nel riconoscere danni e responsabilità. Il fatto di essere poco potenti e poco sostenuti a livello istituzionale declassa i diritti dei vigili urbani, nell'esercizio del loro lavoro, anche innanzi alla giustizia istuzionalmente costituita. I provvedimenti del governo Monti lo ribadiscono per iscritto amplificando le già riguardevoli differenze contrattuali tra vigili e forze dell'ordine.
    Dispiace moltissimo, anche al sottoscritto, che non venga fatta giustizia a Nicolò ma devo anche essere sincero nel dire che il fatto non mi stupisce più di tanto. In un film western ho sentito una buttuta in cui si diceva che legge e giustizia non sono la stessa cosa: niente di più vero in Italia.
    Ad ogni modo il sottoscritto, vigile urbano di professione, il giorno 12 gennaio 2014 sarà a Milano per onorare il collega Nicolò che non c'è più e per dire che questa gestione del comparto sicurezza è anti economico ed inefficente; nessun mass media ci ascolterà, ma non importa noi c'eravamo.
    Ermanno.

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  4. Manca la certezza della pena, manca l'omicidio stradale, manca.... manca tutto!!!!

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  5. non voglio essere cattivo ne classista, ma visto che la legge è ormai una pura e personale interpretazione ( ah se gli antichi romani sapessero come abbiamo distrutto la "lex" ), mi domando se il morto fosse stato un magistrato la condanna sarebbe stata identica ?
    E' mai possibile che di fronte a sentenze inverosimili ( cioè ci pizzichiamo per vedere se siamo svegli ) gli stessi magistrati, come fanno per tanti altri casi, non diventino paladini a supporto di una rivisitazione dei commi.
    Poi ci meravigliamo che la gente, stufa, stanca e senza più speranza si infiamma e scende in piazza.
    Sentenze di questo tipo non aiutano, anzi.....

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  6. Se porti una divisa è sbagli paghi con il massimo previsto.
    Se in divisa vieni ammazzato, chi ti uccide ha sempre delle attenuanti, poi se porti la divisa della P.L. sei carne da macello.

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  7. Carissimi colleghi
    con tanta amarezza devo commentare che "siamo carne da macello"!!! Non aggiungo altro....
    Giò

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  8. Oggi i rappresentanti dello Stato si stupiscono che i poliziotti si tolgono il casco durante le manifestazioni. Io mi stupisco, di come i rappresentati di questo stato hanno portato il paese ad una totale mancanza di giustizia e di regole.
    Senza regole e senza giustizia sicura, questo paese non puo' fare altro che sprofondare nella totale illegalità.
    Noi che lavoriamo in strada dobbiamo aver ben chiaro che L'Italia è un paese debole.

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  9. Non credo che la sentenza ponga le sue fondamenta sulla differenza che esisterebbe tra colleghi delle Polizie Locali rispetto a quelli delle forze di polizia a competenza nazionale. Non posso e non voglio crederci ! Non credo sia questo il punto. Il fatto è che un giovane nel fiore dei suoi anni, con una gran voglia di vivere e con l'orgoglio e l'onore di vestire un'uniforme al servizio della collettività, ha perso la vita. E' un omicidio e per tale si dev'essere giudicati. Se si continua a discutere su incomprensibili questioni socio giuridiche allora non ci dobbiamo stupire più di tanto se fatti del genere trovino diverse interpretazioni nelle aule di giustizia del nord, del centro , del sud e delle isole d'Italia. Personalmente provo preoccupazione per quello che sta succedendo sulle strade del nostro bel paese ; credo sia un errore farsi sopraffare dalla demotivazione che questo genere di sentenze può ingenerare, anzi, bisogna fare fronte comune, cooperare tutti insieme per l'affermazione delle norme ed abbandonare questi pericolosi retaggi culturali pregiudizievoli di supposte divisioni classiste tra Vigili, poliziotti, carabinieri, finanzieri.......così non si va da nessuna parte e si finisce col favorire il prepotente e/o l'omicida di turno..... glielo dobbiamo ai tanti che ci hanno lasciato perché "colpevoli" di aver indossato la divisa, rei di aver intrapreso il regolare turno di servizio e ""condannati a morte"" per aver deciso di controllare un delinquente che per un maledetto e amaro gioco del destino ha incrociato il loro cammino. Onori a tutti i caduti, INDISTINTAMENTE.
    Antonio Guglielmi.

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  10. Quei giudici dovrebbero passare lo stesso dolore.

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  11. Caro Lorenzo, l'articolo che hai scritto snocciola esaurientemente la patologica, cronica e, secondo me, irrimediabile situazione CULTURALE italiana, con la quale, purtroppo, abbiamo a che fare. Ebbene si: il primo problema italiano non sono le leggi, bensì la loro applicazione. Nulla possono le leggi, se poi la testa di chi le deve applicare fa corto circuito come (anche) in questo caso. Nulla impediva al Tribunale semplicemente di applicare il reato di omicidio, punto e basta. E invece con astrusi, farneticanti e incomprensibili elucubrazioni psico-giuridiche si è pensato, come spesso accade, per non dire sempre, al "dramma" del reo, e zero considerazione al danno di chi il reato lo SUBISCE. E soprattutto al MESSAGGIO che si lancia all'ESTERNO!
    Ma se a sbagliare è un tutore dell'ordine allora... beh il discorso cambia! In questo caso la giustizia diventa inflessibile! (Spaccarotella e Liggi docet).
    Nulla viene per caso e se l'Italia è questa lo è per la volontà predominante.

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La regola è semplice: firmarsi.